Il calderone magico: Business Intelligence e culture change

Datamaze
21.12.20 12:19 PM Comment(s)

Overview

Sentii il direttore IT di una grossa azienda cliente parlare del data warehouse come di «Un calderone dove voi mettete dentro tutti i dati, e lui ti sputa fuori le risposte.» Mai definizione fu più lontana di quella condivisa quel giorno, ed essa passò alla storia come “il calderone magico”: un pentolone dove non solo fosse superflua la ricetta, ma dove fosse addirittura concesso gettarci dentro ingredienti a caso.



Dati e risposte

Eravamo ad una riunione in cui erano coinvolti i responsabili dei diversi dipartimenti, oltre alla proprietà. Ovviamente non fu chiaro a nessuno cosa fosse un data warehouse, ma tutti rimasero abbastanza colpiti dalla descrizione oracoliana dello strumento. Quello che i presenti figurarono nella propria mente una volta sentito il termine “calderone” fu un concentrato completo e disordinato di tutti i dati aziendali, ma autonomo nell’avere sensibilità dei dati. Che fosse importante per il decision making o meno, un dato sarebbe stato messo nel calderone, perché non sarebbe costato nulla inserirlo. Piuttosto, avrebbe comportato un costo analizzare l’importanza di ogni dato, e deciderne l’inserimento o lo scarto. I presenti si convinsero del fatto che sarebbe stato il calderone stesso, in completa autonomia, a considerare od ignorare un dato non utile a formulare la risposta al quesito.



Dati ed attori di business

L’immagine passata fra i presenti fu quella di un oracolo, che tutto sa e tutto vede. Nessuno di loro comprese quanto fosse necessario il coinvolgimento attivo degli attori di business, quanto le loro conoscenze dei processi aziendali fosse essenziale per l’alimentazione di questo strumento. A tutti sembrò che fosse sufficiente dare in pasto tutti i dati. Ma chi avrebbe messo dentro tutti questi dati? L’IT, ovviamente. E chi avrebbe etichettato, categorizzato, dato un significato ai dati? Nessuno se lo era chiesto, e di certo nessuno si aspettava di doverlo fare, o di dover contribuire. D’altronde in quel momento nessuno lo avrebbe fatto volentieri, qualora avesse dovuto. Ogni attore aziendale è convinto di non avere tempo per fare più di quanto già stia facendo.



Conclusioni

 Quel progetto fu profondo, complesso, condotto con incredibile passione ed attenzione dall’IT. Io fui coinvolto come sviluppatore esterno, ma il progetto era diretto da responsabili interni. Con un investimento di due anni ed un team di cinque persone (me compreso), si arrivò alla messa a regime di uno strumento che modellava il solo processo produttivo dell’azienda, che presentava non poche complessità. Ma quello strumento, per mancanza di sensibilità aziendale, cominciò ad essere esplorato dai primissimi utenti solo ulteriori tre anni dopo, ossia cinque anni dopo la favola del calderone magico. Ciò che mancò fu un programma di Business Intelligence che educasse l’azienda intera. Quello che non accadde fu il culture change.


di Thomas Tolio, pubblicato il 21 dicembre 2020

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